Dai tempi dei
dinosauri ad oggi
Le
prime notizie sulle foreste antiche dell’Umbria sono state ricavate dalle
foreste fossili di Dunarobba e dal polline ritrovato nell’argilla e nei suoli
umbri.
Così
si capisce che la vegetazione di milioni di anni fa era tipica dei climi
temperati caldo-umidi con alberi giganteschi.
Però
la prima glaciazione fece sostituire questa vegetazione con alberi adatti a
basse temperature.
Ai
tempi dei Romani il clima tornò più caldo e piovoso e favorì la diffusione di
noce e castagno, mentre gli abeti cominciavano a scomparire.
I
Romani, inoltre, iniziarono a coltivare vite e ulivo.
Quando
cadde l’Impero romano, il bosco cominciò a rinascere nelle pianure fertili.
In
questi secoli ci fu un lungo caldo periodo con poche piogge, noce e castagni
scomparvero quasi, mentre piante adatte a climi aridi crebbero.
Dall’anno
mille in poi la popolazione aumentò e i boschi diminuirono per lasciare spazio
alle costruzioni di villaggi e castelli.
Durante
il 1600 ci fu un’altra oscillazione climatica che portò ad un periodo di lunga
siccità e in alta montagna alla definitiva scomparsa degli abeti.
Invece
aumentarono faggi già presenti perché si adattavano al clima.
I
boschi c’erano ancora e molti statuti comunali proibivano il taglio degli
alberi perché altrimenti il terreno crollava.
Nel
1700 lo stato Pontificio si preoccupò dei boschi umbri realizzando un codice
forestale.
La
legge richiedeva un esperto di alberi che scegliesse quelli da tagliare e
controllasse le operazioni di abbattimento.
Tutto
doveva essere comunicato e accettato da un ministero chiamato “Congregazione
delle acque forestali”.
Dal
1750 in
poi gli alberi tagliati furono sempre più frequenti raggiungendo il culmine.
Questo
venne causato dall’ aumento della popolazione, la costruzione di nuove ferrovie
e la formazione dell’Unità d’Italia.
La
popolazione umbra raddoppiò e ci fu l’esigenza di nuove terre per
l’agricoltura.
Il
legno venne usato per costruire le ferrovie, per commerciare e per altre
attività edili.
La
proclamazione dell’Unità d’Italia determinò un processo di vendita di centinaia
di ettari di terreni boschivi a privati.
In
seguito gli speculatori ripresero abbondantemente ad essere pagati acquistando
boschi e tagliando tutto quello che poteva essere venduto.
L’inversione
di tendenza cominciò a verificarsi già dal 1900 con l’esodo della popolazione
montana verso la città e con l’attuazione di leggi forestali che puntavano alla
razionalizzazione dell’uso dei boschi.
Furono
fatti i primi rimboschimenti per proteggere il territorio da erosione, frane e
valanghe.
Dopo
la seconda guerra mondiale le aziende agricole erano abbandonate come i boschi
e ci furono delle nuove leggi da parte della polizia forestale.
Così
ai giorni d’oggi la vegetazione si sta ripopolando.
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